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ARTICOLO Ariela Casartelli: L’etica non è perfetta
di Ariela Casartelli

L’Associazione I.T.A.C.A riporta qui l’articolo di Ariela Casartelli (2013) “L’etica non è perfetta”, pubblicato nel Quaderno delle Giornate di studio di Lavarone 2012 (pag 67-80).

 

L’ETICA NON È PERFETTA

Ariela Casartelli

 

È importante essere etici senza sentirci dalla parte “giusta”,

ma situandoci nella zona grigia della complessità.

Luigi Zoja

Riassunto

    Nel mio intervento propongo una rivisitazione di valori e principi del Codice etico EATA, in connessione con alcuni riferimenti teorici e strumenti che ci ha offerto Fanita English nell’arco della sua attività teorico-pratica. Il mio obiettivo è promuovere una riflessione tra i professionisti che si occupano di bambini e adolescenti in contesti di educazione e di cura.

Abstract

    In my speech I propose a review of the values and principles of EATA’s Code of Ethics in connection with some theoretical references and tools that offered us f. English during his theoretical-practical activities. My goal is to promote a discussion among professionals dealing with children and adolescents in educational contexts.

    Perché parlare di etica in questo seminario di Lavarone dedicato a Fanita English?

    Diversi sono i motivi, tra i tanti in particolare perché ritengo che il lavoro con i bambini e gli adolescenti ci porti spesso a contatto con dilemmi etici e mi è sembrato questo incontro un’occasione da non perdere per parlare di etica quando s’incontrano i bambini a vario titolo: come terapeuti, come counsellor e come educatori in senso lato. A questo si aggiunge la mia passione per la testimonianza di vita e il pensiero di Fanita English che sono stati illuminanti nella mia pratica di counsellor. Ho avuto l’onore e l’opportunità di ascoltare alcuni suoi interventi in diversi momenti della mia vita e ogni volta ho tratto spunti per il mio agire. A partire dalle sue ampie e affascinanti teorie, possiamo trovare le basi per un atteggiamento etico e rispettoso delle diversità di ciascuno, e ho voluto riprendere alcuni suoi contributi teorici che penso possano fornire spunti di riflessione di notevole attualità parlando di etica professionale.

    Fanita English ha dedicato un’ampia attenzione ai bambini e al loro sviluppo con passione autentica e soprattutto invitando sempre, tutti coloro che hanno possibilità di assumere un ruolo autenticamente adulto nei confronti di un bambino, a farlo. Ritengo questo un grande insegnamento e lo considero un pensiero e un invito di grande attualità nella società in cui stiamo vivendo e lavorando come professionisti.

    L’etica è un tema che mi ha sempre appassionato nella mia professione, ho lavorato per oltre vent’anni con gli adolescenti “delinquenti” a contatto con il carcere minorile e il Tribunale per i Minorenni, con persone che per mia fortuna s’interrogavano molto sui significati di bene e male e che mi hanno insegnato a muovermi con delicatezza in spazi dove sembrava che giusto e sbagliato potessero essere definiti senza sfumature.

    L’etica è stata per me anche un intenso “dover essere” che nel tempo, attraverso l’esperienza, e forse anche con l’età, si è sempre più legata a dubbi e incertezze e penso più viva e vissuta piuttosto che dichiarata.

    La lettura oggi di alcuni autori mi rinfranca: «Non ci sforziamo di raggiungere la purezza, ma una dimensione etica, ovvero una consapevolezza di come le scelte morali non siano mai definitive, mai rassicuranti, ma sempre fonte di nuovi interrogativi» (Zoja, 2011).

    Sentirmi dire che l’incertezza è l’unica certezza che abbiamo, in quanto esseri imperfetti e fallaci, è conforto e stimolo per le mie riflessioni e il mio agire.

    Il titolo del mio articolo è una frase raccolta ascoltando l’intervento di Dolores Munari Poda a un convegno a Padova (Worshop esperienziale “L’etica in Analisi Transazionale”, con Sabine Klingenberg, organizzato da AIAT, C.P.D., I.T.A.C.A., Padova, 2 giugno 2012) che mi ha subito colpito, perché mi ha come liberata di un peso, quello della perfezione nell’agire, come se essere perfetto ed essere etico mi fossero stati sempre proposti come due concetti sovrapposti. Etica e perfezione sono invece due concetti che s’influenzano reciprocamente, ma non hanno lo stesso significato e soprattutto la perfezione della pratica non comporta necessariamente un’eticità intrinseca.

Analisi Transazionale ed Etica

    Nell’avviare le mie riflessioni, ho recuperato la definizione di etica che riconosciamo come analisti transazionali nel nostro codice:

    «L’etica presuppone la capacità di scegliere come agire. Questa capacità significa scegliere tenendo in considerazione i propri parametri (etica soggettiva) e la prospettiva dell’altro (etica intersoggettiva)» (EATA, Codice etico 2011).

    In questa definizione trovo due punti fondanti dell’Analisi Transazionale che forniscono direzioni di sviluppo di un agire etico:

  •     – l’intersoggettività, nucleo della nostra crescita;
  •     – la possibilità di scelta dell’Adulto integrato.

    Da questo secondo punto parte la connessione con Fanita English e il suo pensiero.

    Il suo saluto di oggi a questo nostro incontro ha ripreso con precisione e forza alcuni impegni a cui siamo chiamati: «I genitori e gli insegnanti devono bilanciare il loro sostegno alla voglia di correre rischi dei bambini con la necessità di metterli in guardia nei confronti dei pericoli. Spesso bisogna fare scelte difficili a proposito di cosa e come incoraggiare».

    Ai genitori e agli insegnanti aggiungerei psicoterapeuti, counsellor, educatori e tutti coloro che lavorano con bambini e adolescenti, che stanno attraversando momenti difficili.

    Se l’etica è per definizione scelta, ne consegue l’importanza per ogni professionista di dotarsi di riferimenti che aiutino a scegliere consapevolmente tra il bene e il male. Da qui la mia proposta di esplorare alcuni valori e principi del nostro Codice etico, in connessione con la teoria e gli strumenti che ci ha offerto Fanita English.

I Valori e i Principi

    Il Codice etico EATA si sviluppa a partire da valori universali quali:

  • – dignità dell’essere umano
  • – autodeterminazione
  • – salute
  • – sicurezza
  • – reciprocità nell’aiuto

da cui fa discendere alcuni principi:

  • – rispetto
  • – empowerment
  • – protezione
  • – responsabilità
  • – impegno nella relazione

    Sono pochi riferimenti, ma offrono molti stimoli interpretativi, a partire dal fatto che:

    «I principi per loro natura, hanno bisogno di essere interpretati culturalmente. Alcuni principi possono essere espressi in diversi modi in differenti culture» (dal Codice etico EATA).

    Avendo davanti a sé questi riferimenti, nasce la necessità di esplorare: quali significati e quali implicazioni nel quotidiano delle relazioni di aiuto, con i bambini e gli adolescenti?

    Come si declinano valori e principi etici in questi incontri nella nostra cultura?

    Quali strumenti e quali insegnamenti dall’Analisi Transazionale?

Tra autodeterminazione e rispetto

    «Ogni rapporto di aiuto con un bambino si caratterizza per il fatto che il bambino non ci sceglie», dice Dolores Munari Poda (2012).

    Il bambino non ci sceglie, qualcuno ha scelto per lui, spesso i suoi genitori che hanno colto qualche segnale e si sono fatti consigliare dalla scuola, da un amico, da un altro genitore.

    Incontrare un bambino e/o un adolescente significa incontrare prima di tutto i suoi genitori, la sua famiglia, per stimolare alleanze che ci consentano di fare il nostro lavoro in accordo e con il sostegno dell’ambiente di vita, ma anche averli presenti nella relazione terapeutica, educativa, di counselling che ci apprestiamo a costruire.

    Sono i genitori che decidono di accompagnare da noi il nostro piccolo paziente e possono così decidere di interrompere il trattamento; per questo è necessaria molta cura nella costruzione dei contratti iniziali.

    Il contributo di English (1975) sui contratti triangolari è, nella sua semplicità, uno degli strumenti più efficaci e potenti per situarsi nella complessità del lavoro con i bambini e gli adolescenti.

    L’invito che English rivolge è quello di collocarsi e guardarsi intorno, consapevoli della complessità che stiamo affrontando e dei rischi che assumiamo nella relazione.

    Mi sembra importante richiamare il fatto che English nel suo articolo parla di contratti multipli, offrendoci una straordinaria intuizione sulla complessità delle relazioni in cui siamo immersi quando svolgiamo la nostra attività di terapeuti, counsellor, educatori e quali le conseguenze e i rischi del nostro agire (Figura 1).

    La genialità del suo articolo, che prende spunto proprio da dilemmi etici, non tanto e non solo nella parte dedicata a sé come professionista ma anche nella vita di ogni giorno, apre lo spazio alla riflessione sulla complessità, sul significato e la consapevolezza necessaria di essere parte di sistemi complessi.

    Quando incontriamo un bambino e un adolescente, guardarsi intorno significa comprendere quali sono gli adulti che sono in contatto con lui in modo significativo, essere animati dal desiderio di conoscere chi lo frequenta. Questo orientamento risulta essere sempre più importante a fronte di famiglie che non sono più strutturate, ma si destrutturano e si ricompongono in famiglie allargate, fluide, multietniche e multiculturali.

    A questo si aggiunge che spesso il mio intervento di counsellor, psicoterapeuta, educatore si colloca a cavallo e in sinergia con gli interventi di altri professionisti, che a volte incontro, altre volte no, e che posso considerare presenti attraverso la rete di contratti che considero in essere per quel bambino o adolescente.

    Questa attenzione alla multicontrattualità consente di rispettare i confini del proprio ruolo che è di per sé un atteggiamento etico, e mantenere un atteggiamento rispettoso delle emozioni e dei racconti, delle paure e dei drammi dei nostri piccoli interlocutori.

    Il contratto ci consente di definire un posto e un riconoscimento per ognuno dei soggetti coinvolti, a partire dal bambino (Capoferri, 2005), ci offre alcune attenzioni su finalità e obiettivi contrattuali:

  • – chiarire spazi e tempi del proprio lavoro
  • – definire i confini del proprio ruolo e del proprio intervento
  • – attivare l’Adulto di tutti
  • – distribuire responsabilità e competenze
  • – conoscere i contratti tra varie parti.

    Questo è lo spazio in cui si sviluppa il rispetto per le “piccole persone” che incontriamo nei nostri studi privati, nei servizi pubblici, a scuola o nei loro spazi di gioco e di aggregazione.

Empowerment

    Empowerment è una parola che viene utilizzata così in inglese, senza traduzione; in italiano sembra intraducibile, ma mi sono resa conto che dirci quale significato diamo a questa parola può essere un primo importante passo verso un comportamento etico. La traduzione che ho trovato sul vocabolario è: to empower = mettere in grado di, rendere capace.

    “Se metto qualcuno in grado di”, significa che insegno delle competenze o aiuto l’emersione di competenze che già ci sono, nascoste, timide, inascoltate.

    «Nessuno è troppo piccolo per cercare di capire e avere le proprie idee nella relazione d’aiuto; creiamo uno spazio perché bambini e adolescenti possano cercare di capire e sostenere le proprie idee» (English, 2010).

    Nel suo lavoro dedicato alle emozioni (contenute negli articoli pubblicati sul TAJ dal 1971 al 1974) con la definizione di sentimenti parassiti e sentimenti reali, Fanita English è una pioniera e mette le basi per riferimenti e riflessioni per un comportamento etico che possa dare corpo e senso alla parola empowerment.

    English definisce un’emozione parassita come «uno sforzo ostinato di mantenere artificialmente una serie di transazioni continue complementari di un certo tipo, nel corso delle quali la persona rivive i primissimi segni di riconoscimento della sua vita» (1973).

    Ci dice ancora che alcuni genitori «impediscono ai figli di riconoscere certi sentimenti o di prendere coscienza delle loro percezioni. Poiché non distinguono tra sentimento e azione, trasmettono al bambino la convinzione che è pericoloso il sentimento in sé, obbligandolo a sopprimere la consapevolezza emozionale» (1971).

    Aiutare un bambino a riconoscere le proprie emozioni, significa metterlo in grado di conoscersi, mettere radici di consapevolezza per l’Adulto che sta crescendo, in questo senso ci restituisce una pratica dell’empowerment. Questa direzione di lavoro è sostenuta da Fanita English in tutti i suoi scritti dedicati ai bambini e ai loro educatori, la promozione di un benessere emotivo che rende capaci i piccoli di ascoltarsi e riconoscersi, a liberare energie creative.

    «È bene o male provare certe emozioni? Le emozioni che provo mi rendono un “mostro”?». Gli interrogativi che si rincorrono nella mente dei bambini possono trovare dignità di parola, se come professionisti siamo attenti a dare dignità e spazio di parola ai movimenti emotivi, nessuno escluso.

    L’invito di English è che verso i bambini e gli adolescenti si possa tenere un atteggiamento che riassume così: «Tu sei OK e qualunque sentimento tu provi, io ti voglio bene», anche se contemporaneamente si può aggiungere: «Io non posso tollerare un simile comportamento» (1992).

    La capacità di tenere questo doppio binario ci riguarda come esperti delle relazioni d’aiuto e rappresenta la difficoltà dei tempi in cui stiamo vivendo. Accoglienza dell’emozione e confronto sul comportamento stimolano la capacità di scegliere tra bene e male, giusto e ingiusto, promuovono quindi lo sviluppo e la crescita di un pensiero etico.

Responsabilità

    La relazione tra un adulto e un bambino nasce asimmetrica e come tale implica una grande responsabilità, ci chiama a tenere un equilibrio tra il riconoscere le competenze del bambino e dell’adolescente che abbiamo di fronte e sapere che potremmo dover prendere delle decisioni per lui, per tutelarlo. Questo è anche quello che si aspettano bambini e adolescenti, la presenza di un adulto che sia adulto davvero.

    Quando incontriamo un bambino che soffre, abbiamo il dovere di chiederci se sta accadendo nel suo contesto di vita qualcosa che lede dei diritti, se avvengono dei soprusi e allo stesso tempo domandarci che cosa possiamo fare per ripristinarli e chi ci può aiutare. Un comportamento professionalmente etico, secondo me, comprende la capacità di cercare aiuto e di non chiudersi nella propria stanza, nel proprio ruolo, il coraggio di andare un po’ oltre i confini.

    «La fragilità della virtù e l’eterna presenza del male nelle nostre vicende spesso non avvengono perché gli uomini scelgono di essere malvagi ma, al contrario, perché non scelgono; perché hanno troppa paura di assumersi una responsabilità» (Zoja, 2011).

    Quando ci troviamo a porci la domanda: «Questo intervento mi compete o non mi compete?», non è sufficiente rispondere sì o no; se la risposta è no, si aggiunge un’ulteriore domanda: «Se non mi compete, chi ne ha responsabilità?» e ancora: «Chi ne ha responsabilità, la sta esercitando?» e poi «Se non la sta esercitando, a chi mi posso rivolgere?». «Se i diritti dei bambini con i quali sono in relazione vengono violati, in quale modo posso far sì che vengano ripristinati, a chi mi rivolgo e con chi lavoro?».

    L’etica è anche una rete di domande, una tessitura di relazioni al di fuori della stanza della “terapia” che possa sostenere nelle scelte e nei momenti difficili.

    Il mio pensiero in questo momento è rivolto a tutti coloro che lavorano negli Enti pubblici che si occupano di tutela dei Minori, piuttosto che ai professionisti che nel privato accolgono piccoli pazienti, a volte senza sapere l’uno dell’esistenza dell’altro, o anche a volte in contrapposizione gli uni con gli altri, per ricordarci che la tutela dei diritti dei bambini ci riguarda e non è solo competenza degli organismi preposti.

    Ritengo che la crisi economica che stiamo attraversando, in questo momento, faccia nascere l’esigenza di riconnettere pubblico e privato perché i diritti possano essere di nuovo nominati, e ripristinati, perché non si tacciano le violenze a cui i bambini possono essere sottoposti.

    Dovunque degli adulti litigano in merito alla situazione di un bambino o di un adolescente, le attenzioni si focalizzano sul conflitto e nessuno pensa alle esigenze dei bambini. Mi sembra sia un gesto di responsabilità evitare di creare una contrapposizione tra noi, quelli bravi che sono etici e rispettano i diritti e gli altri che non sono capaci. Penso che come analisti transazionali possiamo essere generosi con la nostra bravura e la nostra etica diffonderla e spargere semi, sapendo che qualcuno germoglierà.

Protezione

    Responsabilità e protezione sono strettamente connesse e molte delle attenzioni che abbiamo nel prenderci della responsabilità portano come esito degli aspetti di protezione.

    Fanita English ha parlato molto dei delicati equilibri tra correre dei rischi e istanze protettive; mi sembra importante ricordare qui il concetto di epicopione da lei messo a fuoco nel 1969, su cui torna con successivi approfondimenti fino ai giorni nostri.

“Il processo dell’epicopione ha luogo quando un “donatore” importante, lui medesimo coinvolto in un trauma irrisolto, passa una “patata bollente” (una sorta di dovere esistenziale a portare a termine un compito distruttivo) a un “ricevente vulnerabile” che si sente impotente o dipendente in relazione al donatore, come può essere un bambino” (English, 2010).

    A Praga nel 2010 (EATA, TA Methamorphosis – 100 Years of Eric Berne, Conference, Praga, 9-11 luglio 2010), English propone una netta distinzione su due concetti a cui ha dedicato la sua teoria, il copione e l’epicopione, e chiarisce: «dove c’è copione c’è vita […]; l’epicopione è come un cancro nei confronti di un corpo sano».

    Sempre in quest’occasione descrive il passaggio della “patata bollente” (English, 1969) come un meccanismo inconsapevole che può attivarsi all’interno di ogni relazione significativa tra un adulto che incontra un bambino, paragonando all’ipnosi questo momento di passaggio.

    Questo processo specifico interessa anche coloro che sono professionisti delle relazioni d’aiuto; non siamo esenti dal contagio, è quindi necessario proteggere noi stessi e i nostri piccoli pazienti. Come? La supervisione portata avanti con metodo e continuità, la continua ricerca su se stessi e la consapevolezza di sé e dei propri nodi irrisolti.

    Cercare un supervisore, fare gruppi alla pari di operatori è protettivo, parlare e confrontarsi con competenza tra professionisti dei bambini e degli adolescenti che incontriamo è etico, significa interrogarsi sui propri interventi e ci protegge da rischi di relazioni inefficaci.

    Un altro aspetto che voglio sottolineare parlando di protezione, perché penso possa essere una direzione di lavoro che a volte sfugge, riguarda quello che definiamo «l’effetto a cascata» della protezione.

    Con l’espressione «effetto a cascata», mi riferisco al fatto che ognuno di noi lavora a favore di un bambino, anche quando incontra un adulto che ha dei figli. I figli partecipano agli incontri e alle sedute attraverso i racconti, gli aneddoti, le emozioni portate dai loro genitori e il lavoro che facciamo con loro ha delle ripercussioni sui loro figli.

    Questa è una responsabilità e un’opportunità, possiamo offrire a quell’adulto nuove visioni, incoraggiare competenze presenti, evitare etichette, riannodare trame, ristabilire ruoli ed equilibri, evitare sofferenze.

L’impegno nella relazione

    Traduco l’impegno nella relazione con la capacità di essere presenti, di esserci per l’altro, un adulto competente, un riferimento protettivo e responsabile, che accompagna piccoli pazienti in acque tempestose.

    Di fronte «all’evaporazione del padre» (Recalcati, 2011), risulta necessario rispondere ad un bisogno di testimonianza, essere, riprendendo un termine caro a Pietropolli Charmet (1995), «testimoni compassionevoli» della crescita, delle sofferenze, dei passaggi creativi dei nostri piccoli pazienti.

    Insieme alla testimonianza, si apre anche la possibilità di discutere con bambini e adolescenti di ciò che è bene e di ciò che è male, sviluppare un pensiero sull’etica a sostegno della capacità di comprendere il mondo che ci circonda e di dare un senso e un significato a ciò che accade.

    Queste discussioni sono terapeutiche per il bambino ma anche per il terapeuta, counsellor, educatore, perché consente di portare l’etica nella relazione, di esplicitarla, di renderla praticabile, portandola fuori dal terreno delle discussioni di soli esperti.

    Mentre l’adulto racconta la sua etica al bambino che ha di fronte e cerca le parole adatte, richiama a se stesso il significato di comportamenti e pensieri. È un lavoro creativo e arricchente.

Riflessioni conclusive

    Mi sembra riduttivo e in contrasto con quanto fino ad ora affermato proporre delle conclusioni parlando di etica, è un dialogo continuamente aperto e le grandi scelte impregnano il quotidiano, sono fatte di piccoli gesti, ci accompagnano nel corso della vita: «l’etica corrisponde innanzitutto al desiderio di dare il meglio di sé, alla speranza di essere diversi, migliori, di cambiare la propria mente e il proprio cuore e forse anche il mondo in cui viviamo» (Bollea, 2012).

    In questa frase ho trovato un’adeguata sintesi del mio sentire etico e traduco l’etica come tensione, come stimolo a pensare, ad agire, avendo dei punti fermi di ancoraggio che per me sono quelli che ho proposto fino a qui.

    Viviamo tempi di crisi e questo ci coinvolge, ci chiama a interrogarci su come sta cambiando il nostro modo di essere professionisti.

    Un papà che perde lavoro e non può più permettersi di pagare la terapia, verso quali scelte ci porta?

    I contratti precari, che ci legano ai servizi per cui lavoriamo, come influenzano le relazioni con i bambini e gli adolescenti? Credo sia importante continuare a parlare di etica in ogni occasione possibile evitando i toni elevati e cercando la leggerezza, accettando anche quelle volte in cui non siamo stati così etici come avremmo voluto, per comprendere che si può essere confusi.

    Possiamo lasciare da parte alcuni pregiudizi quali: «Siamo tutti etici, chi oserebbe metterlo in dubbio?» e l’idea che l’etica sia argomento di discussione solo su temi estremi: la vita e la morte, la distruzione del pianeta, la giustizia.

    In realtà ci troviamo di fronte a dilemmi etici molto più spesso di quanto pensiamo, questi dilemmi ci costringono a scelte che ci accompagnano in molti momenti della pratica professionale e la scelta etica non è solo volontà e ragione ma coinvolge le nostre emozioni. Di questo dobbiamo tenere conto.

    «Molto più spesso di quanto pensiamo, l’etica presuppone uno sforzo d’immaginazione, ossia un investimento di energie creative che rimescolano i confini di emozione e ragione, corpo e mente senza confonderli» (Bollea, 2012).

Bibliografia

Bollea L., Il coraggio dell’etica, Raffaello Cortina, Milano, 2012.

Capoferri C.,“ Io ero l’albero tu il cavallo”, in Quaderni di Psicologia Analisi Transazionale e Scienze Umane, 44, 2005, pp. 39-52.

Eata, Codice etico, approvato nel 2011; vd. www.eatanews.org.

English F. (1969), “Episcript and the ‘Hot Potato’ Game”, Transactional Analysis Bulletin, 8, 32, pp. 77-82; trad. it. “L’epicopione e il gioco     della patata bollente”, in English F., Essere terapeuta, La Vita Felice, Milano, 1998, pp. 188-196.

English F. (1971), “The Substitution Factor: Rackets and Real Feelings (Part I), in TAJ, I, 4, pp. 225-230; trad. it. “I meccanismi di     sostituzione: dai sentimenti parassiti ai sentimenti reali (prima parte)”, in English F., Essere terapeuta, La Vita Felice, Milano, 1998, pp.     117-125.

English F. (1973), “Transactional Analysis and Script Analysis Today”, in Psychology Today, april, p.10 ssg.; trad. it. “Il caso Stella”, in English F., Essere terapeuta, La Vita Felice, Milano, 1998, pp. 31-72.

English F. (1975), “The Three-Cornered Contract”, in TAJ, 5, 4, pp. 383-384; trad. it. “I contratti triangolari e multipli”, in English F., Essere     terapeuta, La Vita Felice, Milano, 1998, pp. 224-239.

English F., Wonneberger K.-D., Wenn  Verzweiflung  zu  Gewalt  wird… Gewalttaten und ihre verborgenen Ursachen, Junfermann Verlag,     Paderborn, 1992; trad. it. “Quando la disperazione diventa violenza: le cause nascoste della violenza” (trad. di D. Munari Poda, s.n.).

English F., Essere terapeuta, La Vita Felice, Milano, 1998.

English F., “ Script Development and Episcript”, in EATA, TA Methamorphosis -100 Years of Eric Berne, Conference, Praga, 9-11 luglio     2010.

Munari Poda D., “Di cosa parliamo, quando parliamo di etica in terapia infantile?”, Workshop esperienziale, L’etica in Analisi     transazionale, Padova, 2 giugno 2012.

Pesenti R., “Etica e bambini. Il mondo si salva un bambino alla volta”, in Neopsiche, 11, 2012, pp. 77-89.

Pietropolli Charmet G., Riva E., Adolescenti in crisi, genitori in difficoltà, Franco Angeli, Milano, 1995.

Recalcati M., Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna, Raffaello Cortina, Milano, 2011.

Spinsanti S., “La professione psicoterapeutica e il codice deontologico degli psicologi”, in Quaderni di Psicologia Analisi Transazionale e     Scienze Umane, 25, 1998, pp. 17-26.

Zoja L., Al di là delle intenzioni. Etica e analisi, Bollati Boringhieri, Torino, 201

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