Per gentile concessione del Centro di Psicologia Dinamica di Padova, riportiamo qui l’articolo di Maddalena Bergamaschi (2014) “Passi dedicati per ritrovare la propria danza: AT e trattamento della depressione”, pubblicato sul numero 16 dei Quaderni CPD (pag 55-69).
PASSI DEDICATI PER RITROVARE LA PROPRIA DANZA
AT E TRATTAMENTO DELLA DEPRESSIONE
Maddalena Bergamaschi
“creare un metodo,
un modo di essere vivi,
che serva all’individuo e
divenga la sua unica
personale “filigrana”.
(Ogden, 2012)
Abstract
Si descrive il trattamento della depressione narrandone le tappe, attraverso il percorso clinico con una paziente. Si pone l’accento sulla crisi come momento di crescita. Diagnosi e terapia sono visti come processi dinamici e reciproci basati sulla fiducia nelle potenzialità umane. L’ascolto consapevole dei movimenti intrapsichici e relazionali e l’OKness sono evidenziati come parte centrale della terapia, potenziatori delle tecniche terapeutiche.
Introduzione
L’invito a scrivere sul trattamento della depressione con l’AT mi porta a riflettere sui tempi della vita, sulle tappe, sui momenti di crisi e su come questi possano divenire impasse nei quali si ripropongono modalità copionali, o di crescita, quando si giunge a liberare la spinta vitale, la physis (Berne, 1968; Berne, 1972; Clarkson, 1992).
La depressione, “Condicio humana che si estende su una gamma vastissima della vita affettiva, dal vissuto depressivo “fisiologico” (base strutturante fondamentale per l’evoluzione di ogni persona) fino alla più angosciante patologia che tende a svincolarsi dal tempo e dallo spazio” (Callieri,1990), è una delle forme più comuni di psicopatologia, collocandosi al quarto posto nella graduatoria dei disturbi che necessitano di intervento terapeutico (Infrasca, 2004). Molto è stato scritto negli anni da autori appartenenti a scuole diverse. Io scelgo di esporre il trattamento della depressione attraverso la narrazione dell’incontro con una donna che seguo.
La narrazione riporta gli strumenti concettuali AT che prevalentemente utilizzo per descrivere la depressione. Nel dispiegarsi del testo riporto teorie, modelli e autori di riferimento che ispirano il mio lavoro.
Prima di addentrarmi nella descrizione del caso, voglio riportare l’attenzione su ciò che fa la differenza, secondo me, nel processo di trattamento in Analisi Transazionale, ossia sugli assunti filosofici di base (Berne, 1966; Stewart e Joines, 1987): l’OKness, la capacità di ognuno di pensare, di prendere decisioni nella vita e di cambiare. Valori che per me riassumono la fiducia nelle potenzialità della persona, anche nei momenti in cui lo sconforto pare sovrastare ogni possibilità di uscita.
Voglio soffermarmi su un concetto: diagnosi e terapia sono movimenti in divenire, questo è rilevante sul piano relazionale per le persone depresse. Come dice Arieti (1978), questi clienti necessitano di costruire un’esperienza nuova in cui l’Altro possa trasformarsi da Dominante in Significativo ed al terapeuta è richiesto di mantenersi consapevole nel fluire relazionale, al fine di facilitare (Gabbard, 2000) sia la ripetizione che il cambiamento della dinamica relazionale. La diagnosi in AT è un “processo di conoscenza (dia-gnosis) dinamica che inizia con il primo colloquio, termina alla conclusione della terapia, ha dei momenti di cristallizzazione nel corso del trattamento e coinvolge i due partner della relazione terapeutica” ( Rotondo, 1997). “Penso alla terapia come ad un incontro tra due soggetti in una relazione che si configura come un essere – insieme, nel senso di essere – con l’altro e di essere – per l’altro, con tutte le conseguenze teoriche e tecniche che questo comporta”( Rotondo, 1986).
Diagnosi e terapia quindi come processi di conoscenza dinamici e reciproci, in cui anche il cliente raccoglie informazioni “viene a vedere se il terapeuta è disponibile a perpetuare i suoi giochi, e a perpetuare il copione e, contemporaneamente… desidera che il terapeuta rifiuti questo invito al gioco e lo aiuti a trovare una via di uscita dalla sua insoddisfazione e sofferenza” ( Rotondo, 1997), “il desiderio che qualcosa di trasformativo avvenga nella relazione e prenda il posto di ciò che è mancato nell’infanzia del soggetto” (Little, 2011).
Rotondo, leggendo Berne, sottolinea l’importanza di tener conto di due livelli presenti nella relazione: un aspetto di conoscenza logica, esplicitata, consapevole ed una serie di messaggi latenti inespressi, intuiti, da accordare con i precedenti.
“L’intuizione, afferma Berne, attinge alle immagini primarie di ciascuno di noi, alle rappresentazioni collegate con esperienze e fantasie legate all’infanzia, cioè allo Stato dell’Io Bambino”, in cui la funzione intuitiva corrisponde al Piccolo Professore. Rotondo, in questo articolo, evidenzia come Berne, pone da subito l’attenzione su l’utilizzo di elementi logici ed intuitivi, ossia l’utilizzo di modalità di funzionamento legate allo Stato dell’Io Adulto ed allo stato dell’Io Bambino come proposta metodologica. Berne insiste sugli aspetti relazionali ed esperienziali e indica un modo per mettere a fuoco le reazioni controtransferali del terapeuta.
Anche Hargaden e Sills (2008), nell’Analisi Transazionale Relazionale collocano il Sé nello Stato dell’Io Bambino ed evidenziano come gli aspetti del Sé emergono nelle proiezioni transferali del paziente. In tal senso è fondamentale che il terapeuta utilizzi il proprio Sé per con-tenere e comprendere il paziente nel processo di cambiamento.
Calare nella pratica questi concetti teorici, viverli e con-dividerli nella relazione terapeutica mi conduce al metodo contrattuale, all’attivazione dell’Adulto e contemporaneamente all’importanza dell’intuito e della sintonizzazione con l’altro, ma prioritariamente con se stessi. Nella convinzione che possiamo accompagnare gli altri solo fino al punto in cui noi siam giunti.
Mi sono soffermata a lungo su questi concetti in quanto solo la consapevolezza rigorosa dei due livelli, sociale e soggettivo, consente al terapeuta di portare alla luce e verbalizzare le dinamiche soggiacenti (Hargaden e Sills, 2008) e permette la cura attraverso un “intervento che si basa sulla diagnosi dei comportamenti con cui l’analista guida i propri interventi tenendo conto della reciprocità dei due livelli” (Romanini, 1988).
La consapevolezza del terapeuta di ciò che sta avvenendo ai vari livelli, transazioni sociali e dialogo intrapersonale, gli permette di affiancare il cliente nel divenire consapevole delle proprie strutture interne, e nell’introdurre elementi mancanti, che promuovono l’integrazione (Little, 2011), affinché possano verificarsi cambiamenti duraturi. Questi assunti di base valgono in generale per la diagnosi e la terapia in AT. Ancor più per il trattamento della depressione dove “all’analista è richiesto di essere in grado di trattare con i propri sentimenti di depressione, derivanti dalle esperienze della vita passata e presente, altrimenti non sarà in grado di riconoscere il modo in cui il paziente sta inconsciamente tentando, e in qualche modo riuscendo, ad assumersi la depressione dell’analista-come-madre-transferale” (Ogden, 2012).
Inquadramento diagnostico
De si è smarrita: ha perso la fede in se stessa.
De è una donna di 40 anni, chiede un colloquio. Prima delle vacanze ha avuto un crollo, non si riconosce più: è sempre stata forte, attiva, solare, ma non trova più queste caratteristiche in sé stessa. Dopo 15 anni nello stesso luogo di lavoro, dove occupa un ruolo dirigenziale, ora non si identifica più in quello che fa. Piange in continuazione, mangia a fatica, dorme poco, le sembra di aver buttato via una vita. Non sente di aver la forza di reagire, ha paura di non farcela. Teme di perdersi. Vuole lasciare il lavoro.
La sintomatologia presentata dalla cliente nei colloqui riporta ai parametri del DSM-IV-TR di episodio depressivo maggiore.
Porta con sé il Vuoto. Nell’eloquio, nel corpo e nelle emozioni trasuda la perdita, non di un affetto inteso come persona, ma del “credo” per un lavoro. Un progetto di “senso della vita” e con questo la perdita dei valori che fino a quel momento avevano fatto sì che la sua esistenza avesse uno scopo. Su questa idea, aspettativa genitoriale o propria aspirazione, De aveva strutturato la propria esistenza da 15 anni. A causa di stress lavorativo dato da cambiamenti ai vertici aziendali, la struttura di senso e di valori viene ad incrinarsi e si sgretola. De si Sforza. Lei è sempre stata considerata forte, entra in burn out e per sopperire, lavora sempre di più, senza orari, senza pause, come se il lavoro fosse diventato l’Altro Dominante trattato da Arieti e Bemporad. Per anni De ha tagliato i suoi bisogni. Viene Premiata come “Miglior Agenzia”, ma sente di Non farcela ad essere all’altezza delle richieste sempre più alte rispetto a quello che lei avverte di esser in grado di fare.
Quando arriva in studio pare che lo stato dell’Io Genitore Normativo negativo abbia assorbito tutte le energie, è dominante e schiaccia, nel dialogo interno distruttivo, lo stato dell’Io Bambino, che mostra la propria disperazione con il pianto.
Resto in ascolto di tutta questa sofferenza, un misto di frustrazione, delusione, angoscia, perdita, solitudine, dove l’aspetto Critico è “feroce, distruttivo. Paralizzante!” e pare abbia contaminato gli altri Stati dell’Io in modo pervasivo (McWilliams, 1994).
De mi ricorda un cormorano, che a stento si muove, depositato sulle rocce, ricoperto dal petrolio dopo un disastro in mare. Un uccello che cerca di mangiare nel suo mare e si è trovata ricoperta da uno strato appiccicoso, puzzolente, che toglie il fiato e la possibilità di movimento. Il pianto mi sembra l’unica energia disponibile, un pianto Vuoto. Le lacrime scivolano copiose senza sosta lungo il volto, scorrono lungo il collo, cadono dentro il cuore.
Mi sembra questo un esempio di “immagine primaria” (1953) nella mente della terapeuta.
Le fasi del trattamento
Nel percorso, spesso siamo ritornate su passaggi affrontati precedentemente, entrando sempre più in profondità, come il progressivo sbocciare di una tenera peonia. Nell’approccio con De la deconfusione è iniziata fin dall’inizio della terapia (Sills e Hargaden, 2012) e non successivamente alla decontaminazione, come nell’approccio berniano classico. La suddivisione in fasi è per dare un ordine logico.
Stare-con: Alleanza terapeutica
Sin dall’inizio del nostro lavoro la modalità contrattuale mi permette di rimanere in un ascolto Adulto, di non perdermi dentro il dolore di De. Costruisco l’alleanza stando-con Lei in una relazione empatica ( Rotondo 1985). Nella fase iniziale non è possibile formulare un vero e proprio contratto. Scelgo invece di focalizzarmi sul costruire uno spazio in cui passi il messaggio “Ti Vedo”, “Ci Sei”, “Esisti”. Il Permesso di Esserci.
Tengo conto della necessità di un approccio flessibile e di una relazione impostata sulla non competitività. Vedo questa forma depressiva come una reazione ad un lungo periodo di iper-lavoro privo di riconoscimenti, rinforzato da un ambiente competitivo che ha enfatizzato il fare. Mio intento è propormi nella relazione come un Genitore Affettivo “Realistico” (Loomis e Landsman, 1980, 1981). Nei primi colloqui, con voce pacata ma ferma le comunico sia la mia comprensione, affermando che ha dei buoni motivi per essere depressa (Gabbard, 2002), sia la mia disponibilità a vederla, almeno in un primo periodo in sedute individuali a cadenza bisettimanale. Lo stato dell’Io Adulto, nelle prime sedute, non è energizzato anzi pare momentaneamente escluso, senza contatto, la sofferenza è estesa. Considero l’energizzazione dell’Adulto un parametro per comprendere la gravità della depressione. Per questo ritengo opportuno un invio da una collega psichiatra per un supporto farmacologico. De accetta e si sente “sollevata”.
Passi dedicati: Permessi e Riconoscimenti
De non tiene l’attenzione, pare seguire un suo filo di discorso interno, ripiegata “su se stessa in un soliloquio ripetitivo in cui ogni speranza, ogni comunicazione è spenta” ( Callieri, 1990). Si sente estranea, isolata, non interessata. Le giornate sono vuote, prive di senso. “L’espressione della solitudine esistenziale è la mancanza di temporalizzazione: il tempo non fluisce più, è bloccato, non c’è divenire”(Callieri, 1990). Considera la delusione lavorativa la causa del suo star male.
Ritengo importante verificare il contesto familiare e sociale perché in esso si svolgono transazioni e giochi, ma è anche la Base Sicura e la rete di riferimento in cui la persona si muove.
Appare curata nell’aspetto, ma ha disinvestito nelle relazioni, lamenta una chiusura sociale, riporta che nulla ha più senso. Si presenta educata, con un sorriso Compiacente, ma questo suo adattamento maschera la profonda sfiducia in se stessa. De vive sola, (ha un compagno da 15 anni che vive in un’altra città e si vedono per i fine settimana), ha perso interesse per gli amici, frequenta solo la sua famiglia d’origine e quella della sorella, a cui è molto legata, in questo periodo si reca dai genitori a mangiare. Concordiamo che questo è un modo per dar struttura, confini e nutrimento, ad esempio le nipoti la “adorano” e le ricordano quotidianamente le sue risorse come persona. Questo è un tempo di nutrimento dei bisogni primari. Gli ingredienti sono Permessi come “vai bene così come sei”, Carezze e Riconoscimenti positivi incondizionati sull’essere, offerti con grande delicatezza, in modo che il terapeuta diventi l’Altro significativo ma non dominante. De non ha imparato a proteggersi, si è nutrita di riconoscimenti condizionati o incondizionati ma negativi. È difficile per lei accettare riconoscimenti positivi, sente di non meritarseli, di non valere quello che dicono gli altri. La Porta Trappola sono le emozioni, la Porta Cognitiva è chiusa, la Porta di accesso è quella comportamentale: il corpo, la cura (Ware, 1983).
Questo è il tempo dei contratti co-costruiti sulla cura di sé, sul dedicarsi del tempo e sul coltivare hobbies. Piccoli passi dedicati. Considerando i tre Motivatori di base di English (1992), ritengo che in De non siano in equilibrio. Il Motivatore di sopravvivenza e quello espressivo (sul versante dell’eccitamento) hanno assorbito troppa energia ed hanno escluso il terzo, quello del riposo. Nel mio lavoro trovo utile, per dar struttura alle giornate, concordare semplici compiti quotidiani, partendo dalle piccole cose che piacciono, per riportare la persona a soddisfare i bisogni primari. Inoltre passare attraverso comportamenti ed azioni dà consistenza. In questa fase non è opportuno avanzare richieste di performance in quanto potrebbe esserci il rischio di entrare nella contaminazione andando a consolidare la struttura richiedente del Genitore Critico, ma è importante equilibrare i tre Motivatori.
L’obiettivo è raggiungere ed energizzare il Bambino Libero, realizzare il vero Sé e rivolgere le energie verso l’esterno. De ama la natura, la bicicletta, la danza. Per entrare in contatto con aspetti del proprio sentire utilizzo tecniche che sviluppano l’espressione creativa come fantasie guidate, danza, canto e la spinta al riposo ed alla consapevolezza come la meditazione e le tecniche di mindfulness. Credo, riportando Martha Graham (1945) che “ impariamo attraverso la pratica. Che questo significhi imparare a danzare praticando la danza o vivere praticando la vita, i principi sono gli stessi… In ambedue i casi si tratta di una rappresentazione di atti precisi e dedicati, fisici o intellettuali…”; o citando Ogden: “La viva esperienza propria dell’individuo deve essere la base per la creazione della coerenza per il proprio Sé e dell’integrità di se stessi ” ( 2012).
De, incredula, si ritrova a cantare canzoni da tempo scordate durante le sue gite in bicicletta. I piccoli passi muovono verso una più alta autostima e gratificazione per sé: l’Adulto si energizza.
Sintonizzazioni: Giochi e Svalutazioni
De nei confronti delle sue collaboratrici si vive come Salvatrice. Vive i suoi superiori come Persecutori e si vive come Vittima. Utilizza il suo Genitore Affettivo con gli altri (la sorella, le colleghe) ma non con se stessa.
Nella nostra società il depresso viene rinforzato positivamente sia sulla sua capacità di essere martire e di sopportare che di iper-lavorare. Il messaggio aziendale Sforzati collude con il dictat materno Sii migliore (Schmid, 2008).
Nella relazione con me è alla ricerca di un Salvatore. Il gioco è “Io non ce la faccio, aiutami tu”. Il rischio che vedo è entrare nel salvataggio. De è nell’incapacitazione, chiede consigli. Io le propongo di “imparare a consigliarsi da sé”. Allo scopo di non Adattarsi e Compiacere le mie idee e suggerimenti la invito a guardare i modi in cui si svaluta ed a trovare una propria “risposta originale”.
Mi colgo ad osservare che questa donna manager, quando piange, non cerca neppure di asciugare le lacrime, quasi non le sentisse, quasi dovessero lavare il nero, il dolore, come una richiesta di esser vista, nella totale prostrazione, una forma vitale inerme (Stern, 2007). É ripiegata nel suo corpo, ma la schiena è dritta, forse irrigidita. Lavoro nel transfert (Little, 2011), il conflitto gradualmente diventa manifesto. Sembra una bimba di tre anni che aspetta che la mamma la consoli e le pulisca il naso. Lo leggo come l’invito ad un gioco, lo Stato dell’Io Bambino stacca la spina ed entra nella Passività: “l’intensità del Bambino Adattato Indifeso mi invita al Salvataggio” (Kapur, 1987). La vivo come completamente indifesa e contemporaneamente, se ascolto i miei movimenti controtransferali, provo una discreta resistenza nel porgerle i fazzolettini che ha a portata di mano, ma non prende, mi sento anche un po’ in colpa, cattiva, come se non stessi accogliendo tutto il suo dolore. Questa duplice sensazione mi rimane addosso. Forse anche sua madre provava questi sentimenti per lei? Immagino di provare quello che sentiva la madre, come se mi sentissi sua madre e mi scocciassi che lei non è autonoma.
Come se mi mettesse alla prova, come se mi chiedesse di contenere le sue lacrime, il suo brutto, la sua parte non perfetta, la disperazione. Come se sentissi vibrante il suo bisogno di esser contenuta nella sua sofferenza. Forse la mamma non ha mai considerato questo bisogno? Un bisogno non soddisfatto. Faccio l’ipotesi che nel suo vissuto questo gesto spontaneo non sia stato corrisposto, sia stato interrotto. Cornell sottolinea che questa interruzione viene registrata nella memoria corporea dove rinforza anche un blocco delle attività interpersonali. Ritengo che mio compito sia facilitare il completamento del gesto interrotto, ristabilire una passerella (Gregoire, 2007). Un gesto, affinché possa costruirsi una regolazione emotiva, una rappresentazione dell’altro come una persona accessibile. Accolgo questa sofferenza. Le porgo i fazzolettini, poi, istintivamente, le tendo la mano, lei mi deposita quello sporco, accetto con esso le sue parti non belle. Un modo affinché De possa riconoscere, attraverso questo incontro, una nuova propria esperienza (Stern, 1998). Forse un primo passo, la possibilità di interiorizzazione e/o integrazione di un Genitore Affettivo.
Avanti/indietro: Integrazione di un Genitore Affettivo Realistico
Con una frase De riassume la propria l’infanzia: “Era tutto bellissimo, tranne l’assoluta mancanza di partecipazione emotiva dei miei genitori”. Genitori con un sistema di riferimento competitivo, una madre anaffettiva che ha premiato il fare. Esisti per quello che fai, non per quello che sei. La figura paterna, seppur assente, è stata idealizzata e presa a modello per il sistema di valori sociali di uguaglianza. Anche alle superiori ha “combattuto per i diritti dei compagni”, come rappresentante di istituto, ora combatte per i diritti delle sue dipendenti, animata da un senso di giustizia. C’è un conflitto tra valori interiorizzati paterni e valori della dirigenza aziendale.
Non si è mai concessa di ascoltare e tanto meno di mostrare la propria rabbia che si è volta in tristezza ed in senso di colpa per non riuscire a fare abbastanza. Nel confronto con l’Altro, con le sintonizzazioni o i blocchi comunicativi, il bambino impara quali emozioni sono permesse ed accolte e quali devono essere represse, emozioni naturali che verranno trasformate in emozioni sostitutive, “parassite” (English, 1976).
De comincia a divenire consapevole delle proprie reazioni, strategie di sopravvivenza e decisioni di copione. Riconoscendo il ripetersi delle dinamiche, comincia a non sacrificarsi per l’altro e ritenere di possedere le risorse per sopravvivere. Le è chiaro come l’Adeguamento ed il Compiacere sia stata una reazione del Bambino per farsi amare: “troverò tutti i modi. Sarò Buona e Brava, la Migliore, mi impegnerò al massimo”.
In occasione delle feste De esplode e restituisce alla madre un regalo che non può accettare: “solo una persona che non mi conosce mi può regalare una collana così orribile”. È molto arrabbiata con sua madre perché non si sente riconosciuta per chi è. De si spaventa dell’espressione violenta della propria rabbia. Riemerge preponderante la dinamica del Persecutore interno, quando le sensazioni che aveva “pensato di aver lasciato alle spalle ritornano” rimane sopraffatta, annichilita. Si rituffa nelle profondità depressive, nelle modalità copionali. Lavoro con lei su convinzioni, credenze e Depotenziamento del G1: “ ho fatto un passo indietro, allora non valgo nulla, sono una nullità e le nullità non sono viste, non sono prese in considerazione”.
Io ri-leggo questa rabbia come un passo evolutivo, forse esasperato ma un modo per venire fuori. La rabbia comincia a non esser più rivolta verso se stessa, mi sembra un buon segno, probabilmente sta spuntando un germoglio, sta uscendo come vero Sé, perché sta rivolgendo all’esterno, cosa che non si era mai permessa di fare quando era piccola. Siamo nel processo di Self-reparenting (James, 1974; Romanini, 1993): proporre messaggi, che sono permessi, così che possano esser integrati a quelli già presenti in memoria, co-costruire un Genitore Affettivo che dà il Permesso per ritrovare la sua propria danza. Utilizzo la metafora dei passi di danza, avanti/indietro, sinistra/destra, un linguaggio che lei ben conosce, in cui si ritrova. La crisi assume significato: “diventa un punto focale per diagnosticare il copione e quindi i suoi comportamenti auto-limitanti, piuttosto che un’esperienza particolare da superare” (Clarkson, 1992). L’obiettivo è recuperare il permesso di potersi arrabbiare ed esser “normalmente speciale” come ogni persona, non più “un mostro di bravura”, e di potersi concedere ogni tanto il necessario riposo (Munari Poda, 2001). Danza come direzione, danza come meditazione, come autoconsapevolezza. Danziamo insieme. Avanti /indietro. Non c’è avanzamento senza arretramento. Attraverso le ripetute esperienze il bambino costruisce delle mappe “dell’essere con…” l’altro (Stern, 1995), che l’accompagneranno nelle relazioni future, conferendogli un proprio modo di interagire con gli altri.
De è una donna intelligente, ha voglia di star bene, ha la passione per la scoperta. Riemerge.
Scoprire De: Aspirazioni e Adattamenti Copionali
De coglie il significato a livello cognitivo, anela a stare nel mondo sentendosi meglio, ma sente
la frattura con le emozioni, la paura di non essere considerata, di non essere accettata. Riconosce di
avere “una fame vorace di approvazione” e il modo che conosce per ottenerla è Compiacere ( Cornell, 2010).
Descrive il sentimento di inadeguatezza, l’impasse tra Devo e Voglio, dove gli aspetti affettivi vengono compressi, Dover Compiacere per essere approvata e Bisogno di affermare la propria verità. Un Copione senza Amore e senza Gioia ( Steiner, 1974).
È consapevole della ripetitività dei propri modelli, di utilizzare il suo Genitore Affettivo con gli altri ma non con se stessa. “Proiettata ad occuparmi degli altri per sentirmi sostanziata”.
Lavoriamo sul dialogo interno, nello Stato dell’Io Bambino, tra G1- e B1+. Sente una scissione, una “spaccatura profonda” tra la “Strega Carabà” e una Parte indulgente: La “Dama Bianca”. La perfida e cattiva Carabà viene depotenziata facendola parlare con dei fagioli in bocca. Senza il tono di Verità assoluta, perde man mano credibilità e non è più presa sul serio. De afferma che l’inversione di marcia è complicatissima. La ricostruzione dell’indulgenza, di un Genitore interno che può sostenerla e dare il Permesso al suo Bambino di vivere e di provare la rabbia non è automatica. Il falso Sé, il Sè in adattamento risponde ad un Altro dominante e riemerge prepotente. De è limitata nell’esprimere il suo Bambino Libero dal Bambino Adattato/Ribelle. Emergono gradualmente conflitti e mancanze, la parte ferita si manifesta nella relazione. Rimanere sintonizzata con lei ha permesso che si risvegliassero bisogni evolutivi negati. La relazione necessaria è il bisogno di attaccamento non soddisfatto, di sentirsi compresa e accettata, la base sicura di Bowlby. Nella relazione terapeutica introduco elementi che promuovono l’integrazione (Little, 2011).
Ritrovare la propria danza: Ridecisione
De diviene consapevole che “essere in prima linea, combattente per i diritti altrui”, è una ripetizione di ciò che ha fatto alle superiori. Anche in adolescenza aveva tagliato i propri bisogni. Anche a scuola viene considerata “la Migliore” Viene Premiata, ma ora come allora, sente di Non farcela ad essere all’altezza delle richieste sempre più alte rispetto a quello che lei si sente in grado di fare. Emerge che la propria struttura di senso e di valori è ciò che ha fatto suo padre per una vita. “mio padre aveva due grandi amori: mia madre e la politica, noi figlie eravamo in secondo piano”. Si chiede se ciò che fa è una aspettativa genitoriale o una propria aspirazione.
Le son chiare le Spinte Sii perfetto, Sii forte, ed anche lo Sforzati tanto non ce la farai e come le ingiunzioni presenti sono di un Genitore punitivo: Non Esistere così come sei, Non essere te stesso, e di conseguenza, Non Esprimere la rabbia, Non riuscire, Non essere importante.
Gli elementi di Compiaci sono rivolti verso un Genitore Critico con aspettative altissime che vuole che Bambino sia sempre diverso da quello che è. Il Bambino Adattato è instabile, il Bambino Libero è deprivato di carezze.
In una analisi lucida della propria esistenza si vede come incapace di curare se stessa: “un’anoressica affamata che non riesce a nutrirsi dell’amore degli altri, proiettata verso l’esterno nel dare, ma non riesco a prendere l’amore che mi si offre”.
Decide di parlare con i propri genitori reali. Riporta in seduta un confronto dove si è permessa di esprimere la propria “Verità”, e nella narrazione si evidenzia come nel processo si sono sciolte le impasse e lei diviene consapevole della competizione, del “l’odio antagonistico” verso la madre, della gelosia. “Dell’idealizzazione per un padre assente, a cui ho perdonato tutto”, dei gesti goffi, ma apprezzati, della madre nei giorni successivi. Un avvicinamento, forse. Sicuramente una visione più realistica delle dinamiche e dei giochi familiari, dove ognuno comincia a prendere il suo posto. Un mettere ordine, ridare ai pezzi di tempo psichico valore e consistenza e prenderne le dovute distanze. La scissione tra buoni e cattivi, tra bianco e nero, comincia a prendere un proprio equilibrio verso un Tao interiore. De riconosce anche nella propria madre un “copione senza amore” il sacrificio verso gli altri, l’impegno, l’accudimento delle due nonne in casa. Pezzi di un puzzle che si ricompone, prende forma e senso. È quasi primavera, le giornate cominciano ad allungarsi. De mi racconta e si racconta: “Pensavo di rinascere: prendermi cura di me, una De che rinasce, questa volta partendo dall’amore di Sé. Imparare a volermi bene e aver fiducia in me stessa”.
Sperimentazione ed allenamento: Riapprendimento e Riorientamento
Quando una persona ridecide, ha bisogno di essere sostenuta dal momento che reimpara come essere nel mondo. In questa fase ritorno all’economia di carezze, alla strutturazione del tempo, ai giochi, come strumenti per facilitare la riorganizzazione di strutture sane (Clarkson, 1992). Dopo mesi di sedute individuali, le propongo di frequentare anche delle maratone terapeutiche con un gruppo che si trova una volta al mese la domenica. È importante sia per facilitare la decisione di modificare la struttura preesistente sia per appoggiare la decisione di rinunciare al Genitore Affettivo fantasticato.
Ritengo il gruppo una preziosa risorsa per favorire una maggiore disponibilità all’ascolto di sé, dell’altro e delle relazioni, dare l’opportunità di sperimentare in un luogo protetto, empatico e privo di giudizi una Base sicura che soddisfi il bisogno di appartenenza. Un modo per restituire alla persona una competenza rispetto al proprio benessere, offrire un sistema di riferimento più ampio all’interno del quale De possa sperimentare l’accettazione di sé.
Conclusioni
De sta proseguendo la psicoterapia, il suo Adulto tiene. La morte dello zio, coetaneo del padre gravemente malato, ha portato alla riattivazione del dialogo interno distruttivo e conseguentemente al senso di inutilità per non riuscire ad essere completamente efficiente. In queste difficoltà De a tratti si sente “sopraffatta” da potenze che bloccano le forze verso l’aspirazione. Riconosce di aver acquisito consapevolezza, che la danza della vita non è sempre armonica e facile, si apprende e si ricade. Il trattamento sta funzionando in quanto vi è stata una diminuzione dei sintomi, sta portando avanti concretamente il suo progetto di cambiare lavoro, ha chiesto un periodo di aspettativa, si prende del tempo per sé, accetta carezze positive, ha ripreso le relazioni interpersonali ed è riuscita ad arrabbiarsi. Questi cambiamenti la portano all’accettazione e ad un uso maggiormente consapevole dei diversi Stati dell’Io (Romanini, 1988).
L’inserimento nel gruppo ha favorito la consapevolezza e il controllo dell’energizzazione dell’Adulto e facilitato l’accettazione e l’uso realistico di nuove opzioni sul pensare-fare-sentire. “La cristallizzazione è consigliata da Berne (1966) come necessario consolidamento della guarigione raggiunta […] questo periodo è necessario per cementare nell’abitudine i cambiamenti ottenuti possibilmente fino a che questi cambiamenti divengano parte della personalità” ( Romanini, 1988).
Durante il processo di trattamento è stato fondamentale per me, studiare, prendermi del tempo per riflettere e confrontarmi con colleghi ed in supervisione. Condividere le ipotesi diagnostiche e le linee di trattamento con la psichiatra di riferimento è stato fonte di arricchimento e conferma. Esser consapevole dei vissuti relazionali mi ha permesso di esperire uno dei fulcri della terapia della depressione (Ogden 2012) accompagnare la persona a “creare un metodo, un modo di essere vivi, che serva all’individuo e divenga la sua unica personale “filigrana” è forse il risultato più importante dello sviluppo emozionale primario”.
BIBLIOGRAFIA
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